Ti accosti alla divinità pop con tutto l’equipaggiamento richiesto ma poi ti rendi conto che nulla può servire a corazzarti. Perché per intervistare Patty Pravo, alla soglia dei 50 anni di carriera, non si è mai preparati. Evanescente, inafferrabile, evasiva quando vuole e accorata quando serve, si sa da prima che inizi a parlare che non sarà un incontro qualunque. E nemmeno facile.
Quanti mi hanno preceduto in questo ruolo? E quanti come lei hanno iniziato in un’epoca e in questa non ci sono mai arrivati? “Mah, onestamente io non penso mai a quelli che hanno iniziato con me – mi spegne subito, così, con la velocità con cui si accende la sua Wiston Blu – perché specie a Sanremo dietro il palco prima di salire ci sono 200 persone che ti distraggono e che non c’entrano nulla con la musica”.
Alla vigilia di un ennesimo tour (teatri ad aprile, poi all’aperto e poi celebrazioni in tv) sono con Patty per farmi raccontare l’avvicinamento all’ennesimo Sanremo. “Stavolta ci vado con lo spirito della vetrina, poi se vinco non è che mi fa schifo. Ho talmente annunciato questo nuovo album che alla fine non ho avuto scelta, e l’ho dovuto per forza chiamare Eccomi”.
E che album: Tiziano Feror, Giuliano Sangiorgi, Rachele Bastrenghi (“la ragazza”, la chiama lei), Zibba, Samuel, Gianna Nannini tutti a scrivere per lei. Azzardo un paragone con Notti, Guai e Libertà, il salva-carriera del 1998 che le garantì un seguito degno dopo il ritorno con E Dimmi Che Non Vuoi Morire. Si secca: “Sì, è stato un tassello che ha avuto molta fortuna, ma non guardo indietro, questo è un’altra cosa”.
Rimedio con elogi sul pezzo più strano del disco che sentirete da Sanremo in poi, “Nuvole”: “Hai ragione, è strano perché parte da solo con un piano, quasi scarno da demo e poi cresce un po’ vaschiano”. Il riferimento a Vasco c’è sempre, perché la sua scrittura per più di una volta ha interpretato al meglio la voce della divina. Quanto c’è di lei nei testi che sceglie? “Io sono un’interprete, che c’entra, mica le canzoni che canto sono dei portrait. Mi riconosco in alcune cose che hanno scritto Ferro e Sangiorgi”.
Ma come ha scelto i 700 pezzi che le sono arrivati? “Non è civile mandarmi solo la musica, può essere anche bella ma voglio pure le parole. Quindi ascolto con il mio team e un po’ spero sempre di trovare qualcosa di buono dai giovani sconosciuti”. Il problema è un altro: “Sono troppo concentrati sull’ultimo decennio, gli manca tutto il Rhythm and Blues e a volte mi tocca farglielo ascoltare per allargare la loro mente. Per questo non si scrivono più cose belle, la cosa più vecchia che sentono questi è il grunge. Io ritorno spesso alla Callas, Pavarotti, i Rolling che mi danno sempre energia”.
Menomale che ci sono casualità che la illuminano ancora: “Mi si rompe il mixer, scendo lo porto ad aggiustare e incontro sto ragazzo, Giangi Skip, che mi fa ascoltare Nuvole”. Semplice, no? Come tornare al Festival: “Che vuoi che ti dica, ti trucchi, ti vesti e vai. Come le altre volte”. Annientato, rinuncio al tentativo di estirparle chicche da nerd che riempirebbero voluminosi libri-trivia, anche quando dice che si riascolta da sola la musica del suo amico Robert Plant. La lascio raccontare divertita di quella telefonata con Gianna Nannini: “Stava traslocando a Londra, mi passava Penelope, la figlia al telefono, che mi cantava la mia canzone Penelope. La sapeva! E io dicevo, Gianna che facciamo di questa canzone assieme. E lei, sì facciamo una cosa diversa, cantiamo di una scopata. Vabbè”.
Nemmeno i sogni più audaci di milioni di ammiratori raggiungerebbero tali vette di fantastica estasi narrativa. Poi alla fine è sempre la musica che parla per Patty, perché il personaggio, ok, ma c’è perché ci sono le note, da cui non riesce a staccarsi. E sono note nuove, ogni volta, un tempo rigenerate e ispirate da lunghi periodi di silenzio a viaggiare da sola. “Mi mancano quei viaggi nel deserto, sai, quelle preparazioni dei percorsi, con le cartine che non esistono”. Perché non ne fai più? “Mi manca il tempo, poi sto sempre a chiacchierare con voi”.
Si alza, si toglie la giacca, rifiuta con eleganza il posacenere di design portatogli dall’ufficio stampa (“c’ho il mio, eh”,dice aprendo un portasigarette di argento) e ne affonda un’altra delle sue: “Cinquant’anni, eh? Non mi sono fatta mancare niente. Se non me lo diceva qualcuno non lo sapevo manco che erano 50, mi fa senso. Infatti vado in gara per evitare i festeggiamenti”.
In definitiva, per 50 anni, cosa ha fatto Patty Pravo? “Ho lasciato la libertà all’ascoltatore, non mi piace imporre. Ognuno ha tratto le emozioni che voleva da quello che sentiva”. Ok, Patty, mi hai dato il titolo.