“Invece di litigare su chi si deve sposare o meno, dobbiamo alimentare la musica come strumento conoscitivo, farlo diventare un lavoro e una ricerca, l’Italia dovrebbe fare come la Francia”. Da questo accorato appello si capisce che Arisa della musica è proprio innamorata, è un’appassionata protagonista della cultura popolare del suo Paese e cerca di difenderla come può. Anche lanciando dei segnali di stanca, come quando vinse Sanremo nel 2014 e disse, spiazzando tutti, “non so fino a che punto si possa continuare a vendere pochi dischi e a fare concerti nei teatri”.
Per fortuna si è ricreduta e con la voce che si ritrova e la voglia di sperimentare, torna a Sanremo 2016 con un album, Guardando Il Cielo (che è anche il titolo del brano in gara) che la vede autrice dei testi e affiancata dal fido Giuseppe Anastasi, da Federica Avvate e dal poeta Alfredo Rapetti Mogol, in arte Cheope, il figlio di Giulio e nipote di nonno Mariano (Vecchio Scarpone, Le Colline Sono In Fiore).
Arisa ci sta a pennello in questo filone storico della canzone d’autore, un po’ perché uno dei punti più alti della sua carriera è stato indubbiamente quel brano con Mauro Pagani, La Notte, che nel 2012 le ha fatto fare un salto di qualità. Un po’ perché i suoi ascolti vanno in quella direzione, cita Baglioni, Venditti, Concato. Insomma, non solo un’interprete ma anche una cantante a tutto tondo che valorizza il patrimonio musicale italiano con i suoi riferimenti. “Questo disco esprime il mio desiderio di ricongiungermi con la natura, sono diventata positiva, entusiasta, meno ansiosa. Spero sempre che qualcosa di buono arriverà, sono curiosa per il futuro, sono contenta di vivere di creatività, che bella cosa. Siamo nati per creare, è il nostro compito. E la musica è un mezzo per sviluppare senso critico”.
Le estati passate in Basilicata, i racconti della nonna (“che sono sorprendentemente simili alle fiabe danesi che sto leggendo”), i libri di Paolo Cohelio, la musica d’autore compongono il suo bagaglio di ispirazione. In un pezzo nuovo, Gaia, l’ultimo a cui ha lavorato il maestro Carlo U. Rossi prima della sua scomparsa, ritrova l’origine campagnola: “La smania di vivere comodi ci fa perdere di vista il bene che dobbiamo volere alla natura. In pericolo siamo noi, perché se avveleniamo l’acqua poi non ci sarà più vita. Ora che hanno scoperto il petrolio in Lucania, è tutto un trivellamento. Dobbbiamo custodire al meglio il dono che Dio ci ha dato”.
Da quando si è trasferita a Milano, la multiculturalità della metropoli l’ha contagiata. “Ho un’amica cinese da cui imparo molto, starei le ore a vedere i suoi riti, sentire le sue storie. Mi piace conoscere, pregare con chi non ha il mio stesso Dio. Ricordo di un viaggio in Bulgaria con mio padre, volli entrare in una Chiesa protestante, lui aveva paura che ci cacciassero. In Turchia sono andata a pregare in una moschea”.
Al suo quinto Sanremo, quindi, con una vittoria alle spalle, è cambiata? “Sono più libera, mi dispero di meno, ho imparato a guardare il cielo, come dice la mia canzone, e i problemi sembrano più superabili con questo atteggiamento. Ci vuole forza, ma si può fare”.
E se dopo il successo in patria e tante esperienze in tv si dovesse presentare l’occasione di una carriera internazionale? “Ma io non ho ambizione in questo senso. Non voglio essere “troppo”. Vorrei mettermi a fare una residenza in un teatro a Parigi, arrivarci col mio furgone di musicisti, tutto in modo artigianale. Stare lì, aspettare che qualcuno passi e dica: ma chi è questa, andiamola a sentire. E poi magari ci torna il giorno dopo e si sparge la voce”.