Tutto nasce per caso, dice Tommaso Santucci, l’artista toscano tra i più segnalati alla recente Affordable Art Fair di Milano. Realizza opere con tecnica mista, su cartoni, latte, con disegni e scritte in italiano che piacciono anche agli stranieri. Il tutto con il tratto distintivo del suo inseparabile nastro adesivo.
“Nasce per caso perché io senza pensarci copro la mia scrivania con il nastro adesivo e inizio a creare, anche in viaggio mi è capitato, segnare delle frasi sullo scotch e lanciare un messaggio che poi è come un diario personale. Funziona”.
Funziona davvero l’arte di questo ragazzo di 32 anni, che è vendutissimo e ben quotato in molte altre parti del mondo. Un crossover tra il pop visual di molte copertine di dischi sperimentali che sicuramente sono stampate nella mente dei rock lovers, e un’immagine complessiva che richiama alla purezza tribale di Basquiat. Ma Santucci è italiano e ci ha incuriosito perché il suo percorso parte proprio dal rock. Tommaso è stato infatti batterista nella band Working Vibes che lo scorso decennio ha avuto una discreta popolarità.
Cosa ti ha spinto a trasmigrare verso un’altra forma artistica? La musica resta la mia passione ma ho sempre fatto arte a modo mio. Non mi piace lavorare per pochi addetti ai lavori, i miei oggetti non sono ermetici, sono più che altro posizionati nel conflitto estetico, o piacciono o non piacciono e questo mi affascinava. Portarli in pubblico è una sfida.
Sembrano lavori rivoluzionari, di rottura. Sì perché tutto ti viene insegnato da piccolo, anche le fratture che sono delle ribellioni a quello che non ti piace. Io a 16 anni volevo suonare la batteria, mi hanno supportato i miei genitori all’inizio. Mi sono messo a studiare per 4 anni e già verso i 20 anni suonavo in alcuni gruppi di Pisa.
Come guardi ai tuoi esordi da musicista, oggi? Ho sempre avuto una volontà di suonare dal vivo al di là della tecnica, e tra i 19 e 22 anni ho formato una band con cui ho suonato all’università e una data in Svizzera. Eravamo 4 elementi rock funky, voce sax e chitarra, facevamo pezzi nostri in inglese. Ci chiamavamo FREE SCONES che in pisano vuol dire anche coglione. Poi io, il mio bassista e un cantante salentino abbiamo formato i Working Vibes, partito come gruppo reggae suonando con tante persone, Zulu, Gogol Bordello prima che se ne accorgesse Madonna, abbiamo aperto il primo tour su larga scala di Manu Chao: al parco Aureliana c’erano per quella data 80mila persone.
Come reagivi alle folle dei concerti rock? Mi è sempre piaciuto suonare, ho controllato il mio panico perché quel tipo di emozione mi carica. Mi ha dato sicurezza aver portato a termine tutti gli impegni, siamo stati al premio Ciampi, Giffoni Film Festival con Danny Devito, quello era il 2007, il momento di massimo riconoscimento per la band. Abbiamo avuto modo di conoscere i Negrita con date in Sardegna, dove Pao , il cantante faceva dj set, Cesare dei Negrita ci ha prodotto una parte di un disco. L’ultimo che abbiamo inciso nel 2012 invece vedeva la produzione di Finaz della Bandabardò.
Avevate un genere prediletto? Di base regggae, raggamuffin in italiano e salentino perché il cantante, Massimo Pasca studiava a Pisa, ma suonando con altri ci siamo tutti contaminati, io avevo estrazione rock. Poi è successo che il mercato si è rallentato, abbiamo assaggiato anche forme di mainstream ma la perdita dell’amore per quello che fai e della passione è un lutto che mi porto dietro, perché è bene trattarlo con lucidità. Per me la musica è l’unica donna che non ho mai tradito.
Ora che vendi le tue opere in giro per il mondo, come consideri il mercato musicale a confronto? Con la musica è stato un lavoro soprattutto grazie ai tour, avevamo un dividendo di guadagni per 7 elementi, poi c’erano i fonici e la squadra di persone che si muovevano con noi. Mi sono tolto delle grandi soddisfazioni. Ma se finisce l’amore non si può portare avanti lo stesso matrimonio.
Come nasce l’idea di sperimentare con un altro tipo di creatività? Già andando in tour mi portavo dietro il mio scotch su cui scrivevo e disegnavo, mi dividevo tra un’attività e l’altra, ho vinto la biennale della mia città, poi ho iniziato collaborare con una galleria di Bastia in Corsica, tramite conoscenze. All’epoca suonavo e lavoravo in un pub del centro ed esponevo i miei lavori. Una ragazza ha visto un paio di lavori piccoli e li ha comprati, li ha portati in Corsica e una galleria lì ha mostrato interesse. Mi è andata bene, ho fatto tre collettive dove ho venduto tutto, capivano il messaggio delle mie creazioni perché lì l’italiano lo capiscono.
Poi è arrivato lo sbarco a Milano. Tempo fa mia madre mi fece notare che Affordable Art Fair esponeva degli artisti sotto i 5mila euro di prezzo di vendita. Ci sono andato, ho lasciato i dvd con i miei lavori e mi ha contattato la galleria Art For Interior di Milano con cui collaboro da 2 anni. I risultati sono arrivati anche velocemente, non avevo mai lavorato con una galleria da solo, mi hanno chiamato 10 gallerie e quindi ho pensato di selezionare chi mi voleva rappresentare in base alla professionalità, gentilezza. Sai, venendo dalla musica ne ho imparate di cose, come si tratta con persone che ti promettono il mondo, individuare il manager concreto. Ora lavoro con 5 gallerie italiane e una prossima a Lugano.
Cosa colpisce delle tue creazioni secondo te? Ho visto che le persone si identificano e si ritrovano, quello che mi dicono maggiormente è che c’è verità e onestà in quello che scrivo, che non carico, non ci sono frasi per stupire. Credo di dare voce a stati d’animo che alcuni si possono vergognare di dimostrare, non c’è niente di male. Le frasi che espongo magari fanno arrabbiare chi le vede ma non si rendono conto che io quegli stati d’animo li avevo già qualche mese prima. L’arte mi fa comunicare anche con chi mi sta vicino.
Hai altri hobby? La palestra mi fa venire il mal di testa sono un amante della natura e per tenermi in forma faccio surf.
CHRISTIAN D’ANTONIO