Stefano Piro a 36 anni ha un curriculum da far invidia. Pur non essendo tra gli artisti commercialmente più riconosciuti in Italia ha militato nei Lythium, vincendo nel 2000 il premio della critica a Sanremo, la cittadina dove si è trasferito a 2 anni con la famiglia da Milano. Poi a Milano ci è tornato, quando ha deciso di fare da solo. Una carriera solista di qualità, con esperienze di “spalla” a Vasco Rossi, collaborazioni con Mauro Pagani, scritture teatrali e colonne sonore.
Questa settimana è in uscita il suo nuovo album, il primo in 6 anni, dal titolo Forme Di Vita del Genere Umano A Colori. Lo abbiamo incontrato per saperne di più.
Come hai deciso dopo esperienze diverse di tornare sul mercato con un disco tuo?
Perché avevo raccolto delle idee decisamente personali, il mio ultimo album era uscito nel 2006 e sentivo che c’era bisogno di tornare alla scrittura, ho perso il fuoco dell’urgenza e lo volevo riprendere. Sono successe tante cose in questi ultimi anni che un cantautore dotato di sensibilità non può ignorare.
La tua musica è più introspettiva che sociale. Secondo te c’è la necessità per gli artisti di comunicare messaggi?
È impensabile che non ci siano dei riflessi nei testi dei segni del tempo. Ritengo che scrivere canzoni però sia principalmente fermare suggestioni che arrivano da qualsiasi parti. Penso anche che chi può debba dare una mano a chi si trova in difficoltà, le canzoni non possono dare soluzioni ma possono far riflettere. Il singolo di questo disco è V.E.P., Voglio Essere Potente e quando l’ho scritta mi sembrava fosse qualcosa che stesse crescendo. Parla di come si allarga la forbice tra i ricchi e i poveri, tra quelli che hanno tutto e vogliono ancora di più sottrarre a chi fa difficoltà ad arrivare alla fine del mese. E guarda dove siamo arrivati ora.
Anche per i musicisti non è un bel periodo.
È vero ma io non mi faccio illusioni, non sono un musicista per lo star system. Mi ritengo fortunato a poter fare questo mestiere che è la mia passione. Quando fai altri lavori ti prendi una pausa, un viaggio, una sigaretta. Io quando sto in pausa mi metto a suonare, quindi non ho pause.
È stato difficile passare dall’esposizione di Sanremo più di 10 anni fa, con una major, alla dimensione di indipendente?
È stato bello a 24 anni avere quei ritorni economici così alti, me la sono goduta tra viaggi e hotel di lusso. Ma alla musica non ho mai chiesto di farmi entrare nel jet set, non la vivo con ansia, mi piace vivere quello che faccio con entusiasmo. Alla musica chiedo di non abbandonarmi mai.
Questo disco è pieno di riferimenti cantautorati, da Conte a De Andrè. Influenze casuali?
Dopo aver fatto una ricerca sul tango argentino e sulle musiche per documentari mi sono dedicato alla scrittura con il mio pianoforte. Non ho fatto un disco perché devo essere sulla scena a ogni costo, non mi importa. Ho fatto un disco che mi piace e già penso al prossimo, in questi tre anni vorrei pubblicare molte canzoni.
Hai lavorato sia con Vasco che con Mauro Pagani. Che ricordi hai di questi due mostri sacri?
Con Vasco ho fatto un tour da supporter e non c’è stata vera amicizia, diciamo una frequentazione, anche notturna. Era un piacere parlargli e chiacchierare in libertà. Con Mauro c’è un legame affettivo profondo, lo rispetto molto e con lui ho portato avanti un progetto psichedelico che si chiama Armonstage. Entrambi hanno una caratteristica comune: la vivacità. Sono da anni dei musicisti affermati e non si stancano mai di creare, andare avanti.
Perché questo disco parla di colori?
Mi immagino come sarebbe la terra vista dal cosmo e immagino sempre che le nostre azioni viste dall’esterno, che effetto fa. Secondo me se riuscissimo a vedere fuori da noi metteremo più saggezza in quello che facciamo. I colori sono associati alle sfumature della nostra esistenza, mi piace anche pensare che i colori non sono sempre della stessa intensità ma si accendono in base alla luce, alla capacità di amare che ha ognuno di noi.
CHRISTIAN D’ANTONIO