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Skunk Anansie: cinque domande sul nuovo Anarchytecture

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DiChristian D'antonio

Gen 16, 2016
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foto: Christian D’Antonio

Con un titolo come Anarchytecture gli Skunk Anansie, dopo 20 anni di carriera, vogliono indubbiamente riconnettersi con la parte più “arrabbiata” del loro repertorio, quel lato oscuro e maledetto che negli anni 90 face gridare ai capolavori di rottura. Il nuovo album per la band “è come un terzo matrimonio”, nel senso che segna la terza volta che Skin, Cass, Ace e Mark Richardson si rimettono assieme dal 1994 per continuare la loro strada comune.

Come vi è venuto in mente il titolo Anarchytecture?

Significa cose diverse per ognuno di noi. Le canzoni sono nate in un momento caotico che abbiamo vissuto per motivi diversi nel 2015. Per Skin è più un significato personale. Crediamo che tutta la negatività che si respira oggi, per qualsiasi abitante delle grandi città, ha un effetto. Anche sulle coppie di persone che si mettono assieme per costruire qualcosa. E questa situazione dà origine al titolo.

Come è cambiato il vostro lavoro da quando avete iniziato?

La tecnologia è diversa, noi siamo uguali come approccio. A volte l’ego cozza con la creatività e quindi questa volta ci siamo rivisti più rilassati e abbiamo deciso di fare un disco con contenuti dark ma anche con un piglio più scanzonato, che è poi nella scelta dell’elettronica. Che non è un elemento nuovo per noi, l’abbiamo incorporata nel nostro sound fin dai tempi di Charlie Big Potato. È solo che oggi è più sentita, anche se crediamo di rimanere un gruppo rock che non si farà mai influenzare dall’Edm.

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foto: Christian D’Antonio

Skin, la tv italiana ti ha conquistato?

Mi sono divertita molto facendo X Factor e non so se lo rifarò, dobbiamo vedere. In ogni caso è stato un modo per aiutarmi a capire di più dell’Italia, della lingua, della sua musica. Non mi chiedete di addentrarmi in analisi politiche, meglio che mi fermi. Per la musica, avete tante belle canzoni, ho scoperto cose del passato che sono molto belle. Mi piacerebbe che però i ragazzi italiani iniziassero a voler cantare di più nella loro lingua, a fare cose più arrabbiate. Come fa Fedez. E questa mia considerazione l’ha condivisa anche Elio.

Perché non ci sono più rock band arrabbiate?

Perché è tutto livellato verso il posh. Gli attori, gli artisti che escono dalle scuole di arte inglese sono molto più benestanti di quanto eravamo noi. Perché in Inghilterra puoi studiare arte solo se puoi pagare le rette molto alte delle scuole. È chiaro che questi nuovi artisti non devono lottare per avere quello che vogliono. Però credo che in tutto il mondo, dalla cultura underground arrivino ancora molti sussulti. C’è ancora qualcuno che grida per essere ascoltato, nel rap come nel rock.

Come vi sentite ad aver affiancato nomi come David Bowie nella vostra carriera?

Se una band che fa musica oggi dicesse di non essere influenzata da Bowie, sarebbe  una band di merda. Quindi per noi è stato un privilegio fare dei concerti in festival con lui anni fa. Una volta viaggiavamo sullo stesso aereo e lui ci invitò a vedere la porzione del suo show ai lati del palco. Poi ci sorprese facendo una nostra cover. La interruppe dicendo: però non viene bene come con la voce di Skin.

Christian D’Antonio
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Christian D'antonio

Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)