Prima di addentrarsi nell’ascolto del loro ultimo Acciaierie e ferriere lombarde folk bisogna tener presente la matrice geografica e sonora che partorisce i Sesto Marelli. Non giovani arrabbiati punkettoni, ma bravi musicisti diversamente giovani. E col pallino di fondere il rock con il folk in salsa post-industriale. L’industria ritorna spesso nelle atmosfere che definiscono il mondo dei Sesto Marelli perché è l’industria che li ha generati, almeno anagraficamente. Vengono infatti da quel quartiere periferico milanese («teniamo a dire che Sesto è un comune a parte») che nella ricostruzione dell’Italia post-bellica è stata croce e delizia di un paio di generazioni. Che se da un verso avevano bisogno di identificarsi col benessere che il lavoro in fabbrica comportava con la sua emancipazione sociale, doveva poi fare i conti con i grigi paesaggi e le tediose desolazioni dell’allora nascente satellite metropolitano. Lo si ritrova tutto questo nella musica della band, che di recente ha presentato il disco alla radio web rock’n’roll radio (disponibile lo show on demand sul sito). Roberto Carminati, voce e chitarra del gruppo, descrive il loro processo creativo:
«Non inventiamo niente di nuovo ma scriviamo testi e musica partendo basilari. Poi andiamo da Mariela (Valota, la violinista) e cerchiamo di vestire le canzoni in modo diverso. Avendo fatto cover per buona parte della carriera, ora siamo concentrati sul nostro mondo. È un bel cimentarsi con temi nostri e con la risposta del pubblico, che decide all’istante se lasciarsi andare o meno, visto che dal vivo facciamo un repertorio inedito ormai».
Come suonano? Nel senso di a chi somigliano: certamente ci sono i maestri punk a sostenerli nel pensiero e azione. Ma anche un certo sapore retrò che a molti farà venire in mente gli esperimenti italiani folk che si sono susseguiti nella storia del rock regionale. I Sesto possono essere sicuramente compresi a livello nazionale. Non raccontano della strada accanto e non parlano peculiarmente ai milanesi ma all’essenza rabbiosa e “contro” di chi non si rassegna a vivere a margine della centrifuga metropolitana.
CHRISTIAN D’ANTONIO