Non ci sono ricette per la sopravvivenza ai talent show, nemmeno quando li si vince. Michele Bravi, oggi ventenne cantautore al secondo album, lancia I Hate Music che in un certo senso è il suo primo vero disco. Perchè come si capisce dal singolo (in inglese) The Days, questa è davvero la musica che vuole fare. E se l’è fatta da solo, aspettando il momento opportuno e seguendo il suo istinto e il suo gusto. Non sarà il disco che rivoluziona il pop italiano, ma sicuramente è il disco che rilancia la sua carriera perché arriva ben confezionato e con un vento positivo. Guardatevi il video degno di un artista internazionale (https://youtu.be/OaQrA-O0eKc) e leggetevi quello che ci ha detto alla presentazione del disco nella sua nuova casa discografica, la Universal di Milano.
L’album ha debuttato al terzo posto della classifica italiana, il tuo concerto per i fans all’Alcatraz è stato un successo. Gira tutto per il verso giusto? Inutile negare che ho passato un anno e mezzo difficile, per trovare un linguaggio in autonomia e per riflettere su quello che volevo essere prima di tutto. C’è una differenza tra i generi musicali che puoi ascoltare e i generi che puoi fare in prima persona. Se c’è una lezione, è questa quella che ho imparato.
Il disco continene 9 brani cantati in inglese, come ti è venuta questa idea? Stando su Youtube con un canale mio ho messo online in maniera istintiva e vorticosa tutto quello che volevo nell’ultimo anno. Il team che mi accompagna adesso è stata un’ultima aggiunta, ma questo disco per me è il risultato di mesi trascorsi a dialogare con il mio pubblico. I media tradizionali hanno dei tempi molto diversi, sul web è tutto più a misura d’uomo e non hai pressione. È anche il motivo per cui ho imparato a prendere quello che di buono c’è da questo filo diretto su internet, è importante ascoltare e prendere coraggio dalla gente che ti sostiene.
Ma un artista non dovrebbe restare puro e andare nella direzione che crede? Questo è vero in parte, perché io ho preso solo coraggio per fare cose che volevo ma che erano dentro di me e non riuscivo a esprimere completamente. Chi se ne frega di quelli che dicono che ci deve essere distanza tra cantante e pubblico, io sono un ragazzo che sta facendo esperienza e che vuole vivere di musica. Se c’è qualche errore sarà parte del percorso.
Ti senti più rilassato oggi? Ho fatto il disco che volevo con le persone che volevo. Il video e la copertina sono un esempio di come si può giudicare una cosa nuova anche dall’involucro, volevo che ci fosse una rottura. E anche se sono ancora il cantante di A Piccoli Passi, il mio primo disco, ora c’è anche un lato di me che dice: ma allentiamo la morsa e sia quello che sia.
Hai collaborato con artisti giovani, l’hai fatto per un motivo? Ho lavorato con chi mi ispirava. Per la parte visiva c’erano questi ragazzi romani Trilathera che sono ai confini del noir e mi piaceva incorporare le loro idee in questo progetto. Poi per la produzione dei brani, una volta composti mi sono affidato a chi meglio riusciva a trasformare le mie idee in musica. E l’ho trovata questa persona, si chiama Francesco Catitti ed è un giovane producer che ha lavorato a molte cose che mi piacevano già, come il disco di esordio degli About Wayne.
Cosa ne sarà oggi per te di tutti i progetti che passano dai canali molto ufficiali tipo Sanremo, i concerti…? A Sanremo non ci voglio andare come se fossi in mutande alla serata di gala. Non ho la canzone per il momento, mi voglio godere questo disco. Poi magari se scrivo qualcosa di notte che mi entusiasma mi presento. Per i concerti…ho voluto fare l’incontro coi fans e gli youtubers perché volevo evitare la classica conferenza ed è stato un bene perché mi sono stati vicino quelli che mi hanno seguito nell’ultimo periodo.
Tutte le tue conoscenze di X Factor che fine hanno fatto? Ho dovuto tirare una linea e azzerare perché la vita mi ha portato a fare delle esperienze che chi non vive non può capire. Anche al mio paese ho riconsiderato le amicizie, oggi frequento persone che davvero mi sono vicine.