Figlio degli anni 80, cresciuto a Milano in adolescenza nei 90, «quando c’era ancora attenzione alle giovani proposte artistiche», Marco Di Noia non sembra l’anonimo cantautore da ritornelli. Se guardate il suo video, Crisi Superstar (Marco di Noia – Crisi Superstar) scoprirete che l’artista al posto di inseguire il motivetto si cimenta nel difficile ruolo di cantore della crisi generazionale. Con un piglio inaspettatamente ironico e graffiante. «I miei testi sono ispirati dalla vita, non necessariamente mia – ci ha detto alla vigilia di un concerto a Le Scimmie, storico locale milanese – ma con un velo di ironia sempre presente. Secondo me l’ironia nasce dalla constatazione amara della realtà, nasce dalla tristezza».
Nel suo disco omonimo, attualmente in fase di lancio (edito da MC Harmony) c’è anche una canzone di “resistenza”: «Ho voluto affrontare in Rema! il tema della resistenza nei momenti di sconforto. Con la perseveranza quotidiana si riesce a stare a gallo. Nel ritornello ho inserito riferimenti agli Schettino della nostra epoca che timonano spesso la barca facendola sbandare. Tocca a noi talvolta remare per non affondare».
Il disco vanta collaborazioni con musicisti come Manlio Cangelli (pianista di Amii Stewart, Pierangelo Bertoli, Riccardo Fogli), l’ex membro dell’Equipe 84 Fulvio Monieri e Joe La Viola (sassofonista che ha collaborato con Tullio De Piscopo, Andrea Braido, Ellade Bandini). Il disco è sostenuto da Via del Campo 29 Rosso, la “casa dei cantautori genovesi”, che sorge nel cuore del centro storico di Genova, nella famosa via resa celebre da Fabrizio De Andrè.
Agli show di Di Noia la gente si diverte, pensa, riflette, balla. Una rappresentazione che confina con il teatro-canzone. «Ho fatto l’interprete per anni – dice – e ora mi diverto a rivestire le mie canzoni di trovate sceniche. Ho sempre in mente quello che fa Elio, mi diverte e mi ispira. Punto su me stesso, su quello che vedo e leggo e mi costruisco una poetica cercando di essere originale».
Spesso ci riesce proprio bene. Come nel brano che chiude il suo EP, Il Sogno di Vertunno che traduce in musica e parole la filosofia dei quadri cinquecenteschi del pittore milanese Giuseppe Arcimboldo, quello delle teste e ambientazioni naturali composti. «La canzone è dedicata alla divinità etrusca dello stesso nome, mi piaceva l’idea di poter scrivere in libertà un’ode al cambiamento, utilizzando colori e elementi naturali. Le parole sono colori. Come quando per Sulle Strade d’Inverno ho utilizzato colori che richiamano al mondo del freddo, del bianco per spronare l’ascoltatore a vivere per lasciare una traccia». Tematiche profonde che però, per effetto di un’ambientazione leggera, incuriosiscono e non stancano.
CHRISTIAN D’ANTONIO