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INCONTRO I DIROTTA SU CUBA: “FINALMENTE CI PIACCIAMO”

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DiChristian D'antonio

Ott 3, 2016
©_ANGELO_TRANI
I Dirotta Su Cuba sono stati un fenomeno della discografia italiana degli anni 90. Il loro jazz-funk ha fatto scuola, fin dall’esordio con Gelosia, nel 1995. Nel 2012 si sono ritrovati a far concerti e l’anno scorso hanno trascorso il ventennale della band in tour in tutta Italia.
Li abbiamo rivisti al Blue Note di Milano di recente, per il lancio del nuovo disco The Studio Sessions – Vol.1 e ne abbiamo apprezzato l’assoluta maestria e vitalità. I vecchi pezzi si amalgamano a perfesione con i nuovi (il trascinante singolo è visibile qui). Ma è soprattutto con i medley con pezzi soul del passato che dimostrano una disinvoltura e piacevole armonia nell’essersi ritrovati. Le chicche dal vivo passano da Michael Jackson a Jamiroquai per la gioia di tutti gli appassionati del genere.
Abbiamo incontrato Simona Bencini (voce) E Stefano De Donato (basso) prima del nuovo tour.
Come siete arrivati a registrare nuovi brani accostati al vostro repertorio ormai classico?
Stefano: Due delle canzoni che erano stato pubblicate come singoli negli ultimi anni sono rientrate nel disco perché le suoniamo dal vivo, piacciono, ce le richiedono, alla fine le abbiamo inserite come bonus. Inizialmente erano preludio a un album che non è arrivato subito, erano rimaste nel nulla.
Simona: Noi abbiamo tentato la politica di singoli e abbiamo pensato: poi via via l’album si compone. Ma se non si trova l’album sembra un discorso spezzato, dai Dirotta si richiede l’album e non ti vedono mai grazie a Dio come una single-band. C’è anche la differenza di approccio degli addetti ai lavori che ci seguono, il nostro pubblico pensa che il disco sia qualcosa di diverso, riempito, completo, un concept che puoi portare in giro come band radicata coi piedi per terra.
Stefano: C’è bisogno di dare sicurezze, anche al pubblico. È vero, se volevamo sicurezza non facevamo questo mestiere. Siamo precari.
Però l’avete intitolato Studio Sessions Vol.1…
Stefano: Volume uno è beneaugurante, almeno c’è la volontà di fare il secondo. Ci sono altre band che hanno annunciato operazioni simili e non l’hanno mai fatto. Questa è stata un’idea di Simona che ho approvato in pieno. È un gioco usare la dicitura studio session, come quando si faceva con i dischi quando si suonava tutti, il progetto viene dal ventennale della band dell’anno scorso quando abbiamo portato in giro il primo album tutto riarrangiato, con Gelosia, Liberi Di Liberi Da, abbiamo suonato nei club e terminato con tre sold out a Umbria Jazz. Ci siamo guardati e  abbiamo pensato: forse abbiamo fatto una cosa davvero carina, fermiamola così, non può essere solo live.
Ci raccontate della gestazione del disco?
Stefano: L’album è nato sull’onda di questo live, come succede spesso nel jazz. Dal vivo arrotondi gli spigoli per l’essenzialità e l’immediatezza che necessitano alle canzoni per colpire. Poi è stato rimesso a posto per essere disco, con un percorso a tre: dall’originale del 1995 alla dimensione dal vivo e poi ripreso con quel mood del live da fermare sul disco.
Simona: Abbiamo migliaia di musicisti che ci seguono, tutt’oggi ci dicono che studiano sui nostri brani, imparano a suonare i loro strumenti sulle canzoni che abbiamo scritto. Sono anche pezzi insegnati nelle scuole perché questo genere in italiano non l’ha fatto nessuno. La cura che mettiamo negli arrangiamenti ci ha fatto creare un pubblico così.
Stefano, tu come ti sei sentito a riprendere il filo?
Stefano: Una delle mie preoccupazioni mie quando siamo entrati in studio era che dovesse suonare…bene. L’energia del live con la precisione dello studio.
Quando si è parlato di Gelosia abbiamo pensato…e ora? I brani sono difficili da rimaneggiare. Li sento più nostri adesso, perché standone distaccato per 10 anni ne riesci ad apprezzare molto.
Simona: Abbiamo venduto tanto, un tour e un disco dietro l’altro, abbiamo avuto anche noi le nostre pressioni stando in una major all’epoca. A un certo punto quello che fai diventa anche una gabbia. Esserne stati lontani per un po’ te lo fa riapprezzare, lo rivaluti, scopri che quello che hai fatto non era solo una cosa pesante ma anche bella. Tuttora si ascoltano quei brani, sono gli altri musicisti che ci hanno fatto tornare la voglia di risuonare assieme. Quando ci stai dentro vuoi vivere la tua vita e scappare. Capisco perché le band si sciolgono, come dice Carboni.
E il tuo stato d’animo, Simona?
Simona: Il mio approccio è stato godimento puro, che forse non avevo nemmeno all’inizio. Soprattutto dal vivo.
Stefano: Per me è stata straordinaria l’idea di vedere Simona in studio per la prima volta senza piangere. Non perché si commuovesse, perché avevamo turni massacranti e lo stress era alto, ci voleva davvero più tempo per farli i dischi.
Simona: Quando siamo arrivati a fare il primo album, avevamo la nostra identità ma dovevamo imparare ancora tanto, a quei livelli lavorare in studio era davvero una grande sfida. Avevo grande verve ed energia ma non troppa tecnica.
Stefano: Ma anche il solo fatto di stare 8 ore in cuffia a sentirci, poteva davvero risultare massacrante. Noi avevamo molta gavetta, i nostri demo pronti, ma affrontare le registrazioni con musicisti di altissimo livello era un’altra cosa. Erano tutti più bravi di noi quelli che venivano a suonare sui dischi. Questa volta abbiamo avuto atteggiamento diverso, abbiamo apprezzato anche i difetti di chi ci sta intorno. Conoscendoci bene, ti dai una mano a vicenda. Ritrovarsi è stato bello, in studio è stato bello tornare alla stima, coesione, come una famiglia.
Sentite la responsabilità nei confronti di chi vi ha aspettato per tanti anni?
Simona: Non abbiamo responsabilità ma siamo coscienti di quello che facciamo…non ci prendiamo sul serio da seriosi, diciamo che lavoriamo seriamente.
L’affetto ci arriva dai social, dalle persone che ci seguono e ci desiderano e la sentiamo l’accoglienza ed è quello che ci rende energetici per andare avanti.
Stefano: Non suoni solo per te altrimenti non faresti dischi, staresti in camera tua davanti a un amplificatore. L’approvazione della gente non è solo un discorso economico ma ci serve la botta di ritorno.
Simona: l’aver ricominciato a tracciare la rotta dei Dirotta ci fa già pensare al volume due, e chissà poi.
Per te Simona, come è stato tornare a lavorare in gruppo dopo un periodo solista?
Simona: L’esperienza da solista? Sono stati anni faticosi e che mi hanno messo in contatto con i miei limiti e i miei pregi, ma mi sono rafforzata molto. Non avevo molto in mano le redini e a volte ho subito delle situazioni sia positive che negative. Oggi, dopo 10 anni a provare strade diverse, prendendo schiaffi e applausi, sento sicuramente maggiore serenità.
Stefano: Quello che ti dicevo prima, il ritorno a fare con puro piacere il nostro mestiere senza nessun mega produttore o censore che ci dice quello che bisogna far, si riflette nel lavorare bene assieme. Per la prima volta ci ha permesso di essere liberi di metterci la faccia, perché il disco è ideato da noi e prodotto da noi e distribuito da Warner. Finalmente, anche noi ci piacciamo.
Christian D’Antonio

 

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Christian D'antonio

Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)