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Hooverphonic: “Siamo come un outfit alla moda, c’è un pezzo di ogni epoca in noi”

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DiChristian D'antonio

Nov 26, 2018
hfp
Foto: ufficio stampa

Hanno preso le ispirazioni più care e formative della loro genesi pop e le hanno sintetizzate in un solo disco. “Looking For Stars“, l’album del ritorno degli Hooverphonic dopo la defezione di Noémie Wolfs nel 2015, è un gradito omaggio alla musica melodica con un twist, ci tengono a sottolinearlo, più elettronico che in passato.

Nella band ora ci sono Raymond Geerts, la giovane cantante 17enne Luka Cruysberghs, e il leader Alex Callier. Con cui abbiamo parlato del nuovo disco.

Che tipo di approccio avete in una band con personalità così diverse?

Ci sentiamo un gruppo alla moda, nel senso che siamo diversi e cerchiamo di unire queste differenze proprio come quando oggi si vestono le persone. Si prende del meglio di ogni epoca. Nella moda ogni cosa è possibile, quando eravamo giovani non c’erano i pantaloni a zampa e poi sono ritornati dal passato. Ma io amo le uniformi, mi vesto sempre uguale e semplice. E quindi mi sono andato a prendere i 501 della Levi’s che non erano in voga. In musica accade lo stesso perché oggi c’è tutto ed è come non voler mangiare la stessa cosa ogni giorno.

Ci sono delle canzoni legate all’Italia come in passato?

C’è una connessione, certo. Io ho scritto assieme a Luca Chiaravalli il singolo “Romantic” e  “Horrible Person” a Gallarate, la nostra musica suona davvero latina perché contiene passaggi che un musicista americano non farebbe mai, per esempio. Il fatto di essere a Gallarate, con la mamma di Luca che cucina e pensare sempre a Morricone come ispirazione, sicuramente ci rende molto vicini allo spirito italiano.

Che è fatto di?

Quando ho sentito come era venuta “Romantic” la prima cosa che ho pensato è stata: questa l’Italia degli anni 60, quella melodia, le piazze, la gente. Noi siamo una band molto melodica. In Usa e Inghilterra c’è molto hip hop e la melodia non è così crucuale come per noi. Credo che sia parte anche della nostra formazione in Belgio. Siamo in un paese piccolo con tre lingue diverse e siamo aperti alla contaminazione. E soprattutto siamo l’unico posto d’Europa dove convivono mood germanico e atteggiamento di vita alla latina.

Come si è integrata la giovane Luka con voi?

Credo che abbia preso la decisione giusta cercando di interpretare le canzoni di repertorio alla sua maniera. Essere spontanei paga sempre. Non abbiamo fatto selezioni per trovarla perché l’ho trovata io in un programma tv, The Voice Of Flanders dove ero coach. Poi pensavo di produrla come artista singola, e invece…

Come è andata?

Le ho dato 10 canzoni da provinare tra cui Romantic che avevo già provato con diverse persone, perché per me era la nuova canzone degli Hooverphonic. E lei l’ha provata naturalmente. E io le ho detto, guarda che questa è per il gruppo. È stato allora che lei ha osato: “Allora vengo a cantare con voi”.

Quindi si è auto-proposta?

Certo e ha funzionato. Abbiamo dato a lei tre settimane per imparare il catalogo. E quando abbiamo fatto un concerto privato con poche persone fidate, ha sorpreso tutti. Quella sera, tutti erano diventati suoi fan. È come pensare di voler trovare una bella voce, ma bisogna trovare la voce giusta per noi, devi avere il nostro dna. Devi avere buona tecnica ma non farlo vedere alla gente. Perché le nostre canzoni sono così, sembrano facili ma non sono superficiali. E devi essere una persona semplice per affrontarle, ma anche essere una diva.

Tu stesso hai un background molto diversificato in ambito musicale.

Ho iniziato a fare piano da piccolo e capivo che Bach non mi piaceva, e poi mi sono interessato a Gershwin e John Barry. Poi ho scoperto che quello che mi interessava erano le modulazioni, Ennio Morricone, dove si capisce che è molto sottile il confine tra l’arte e il kitsch. Ci stiamo provando da anni noi Hooverphonic, essere cool e credibili e mettere dentro la nostra musica cose kitsch, over the top.

Ora che avete una cantante così giovane, i testi dovranno essere aggiornati a questa situazione?

Ci ha aperto gli occhi quando un giorno ci ha detto: non posso cantare una strofa con la frase “money’s gone” ho solo 17 anni. Ed è giusto. quindi non l’ha cantata.

Sei un coach di un talent molto incentrato sulle voci, The Voice of Flanders. Cosa ti ha insegnato?

È un grande rischio, per noi che siamo i guidatori delle nuove voci e anche per loro, perché si affidano a noi. Il rischio è parte della vita, quindi vale la pena andarci. L’ho fatto già 4 volte, ora la gente non paga gli sms ma vota con una app e credo che la barriera dell’età sia caduta. Ho avuto uno shock quando ho capito che la gente votava le mie scelte. Perché ora votano tutte le età e il pubblico si è allargato. Però non bisogna dimenticarsi che questi show sono televisione, intrattenimento e non bisogna drammatizzare. Non posso pensare che per un ragazzo quella sia una questione di vita, ci deve essere altro. E poi non è solo la voce che conta. Io dico a questi ragazzi: ascoltate Blue Monday dei New Order, non ha una voce sostenibile ma quel pezzo lo imparano tutti.

Ci sono altri grandi performer, secondo te, con voci non eccelse nella storia della musica?

Prendi Nick Cave, Neil Young. Alla fine quello che conta sono le canzoni e come le presentano queste grandi star. Quel tocco di speciale aggiunto le porta da una dimensione pop normale a leggenda.

Christian D’Antonio

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Christian D'antonio

Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)