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HATE BOSS, GLI ELETTRONICI CHE PIACCIONO AI METAL

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DiChristian D'antonio

Giu 18, 2012

HATE BOSS, GLI ELETTRONICI CHE PIACCIONO AI METAL

Sono partiti con un sogno da Conegliano, in provincia di Treviso. E in un anno sono riusciti a imporsi sul web come la band italiana giovane con più interesse nel circuito electro-rock. Gli Hate Boss, con il loro nome che definiscono “In your face con una volontà precisa” sono oltre che dei buoni musicisti degli ottimi conversatori. Li abbiamo incontrati al lancio del loro disco Time Of The Signs in distribuzione ora, trainato dall’omonimo singolo che ha avuto già migliaia di visualizzazioni su Youtube.

Come vi siete conosciuti?

Mattia Tomasi (voce, basso e synth): Abbiamo militato in altre band locali della scena vicino Treviso, anche se non possiamo dire che c’è una scena comune lì. Ci sono tanti musicisti giovani che cercano di farcela. E poi avevamo tutti una volontà di non fare una band di cover perché volevamo sperimentare cose inedite. Questo ci ha accumunati parecchio e ora le soddisfazioni più grandi sono quelle che riceviamo per la nostra scrittura e per come siamo assieme sul palco.

Nel gruppo ci sono due fratelli…

Alessandro Tommasi (elettronica): Sì io sono il più piccolo, sono dell’89. È strano come io e mio fratello riusciamo a coprire con le nostre date di nascita il decennio che più ci ispira, gli anni 80, lui è dell’81.

Cosa vi piace degli anni 80?

Simone Zaccaron (chitarra-synth): Innanzitutto l’uso dell’elettronica, perché partiamo sempre da una passione per questo. Poi ce li siamo fatti tutti i miti degli 80: i manga, la tv, la passione per un pop dimenticato.

Emanuele Lombardini (batteria): In realtà abbiamo comunque esperienze e background diversi, siamo cresciuti chi a pane e rock, chi con la musica funky soul. Credo che tutto questo si rifletta in quello che suoniamo perché alla fine nessuno ci dice quello che dobbiamo fare, ci mettiamo dentro quello che vogliamo. Ed è molto flessibile.

Vi ho sentiti dal vivo e l’impatto è molto più energetico, quasi violento che sul disco?

Emanuele: Volevamo questo perché siamo una band che va bene dal vivo così com’è. Mentre sul disco c’è molta cura per gli arrangiamenti e le definizioni dei suoni, il missaggio. Vogliamo che la gente se ne vada pensando di aver visto qualcosa di energetico. Poi ci è capitato di suonare a dei festival con gruppi goth e metal e ci hanno fatto i complimenti.

Il fatto che tutte le tracce di Time Of The Signs siano in inglese vi aiuta?

Alessandro: in un certo senso abbatte le barriere, ma ci sentiamo molto a nostro agio in questa dimensione internazionale, anche perché quando scrivo i testi con mio fratello pensiamo a come possono essere recepiti non solo in Italia, ma un po’ ovunque. Abbiamo fatto una data in Austria e devo dire che abbiamo venduto alla fine del concerto più dischi lì che da noi. Si vede che abbiamo qualcosa che cattura gli europei.

Simone: O forse c’entra il fatto che già da adesso ci siamo accorti che all’estero la gente per la musica ha davvero un approccio diverso, sono aperti a sentire qualunque genere e a divertirsi. In Italia non è sempre così, c’è sempre bisogno di qualcuno che ti dica: vai così che sei figo. Gli indie in generale hanno sempre molta paura di sbagliare e devono infilarsi in un trend. Questo per noi non funziona.

Oltre all’elettronica nel disco ci sono anche influenze rock, dubstep, da dove arrivano?

Alessandro: Una delle poche cover che abbiamo fatto in passato è I Fell Love di Donna Summer quindi è normale che siamo aperti a varie sonorità. Dubstep? Sì va bene ma non gli Skrillex.

E quali sono le tematiche che affrontate nell’album? C’è un accenno alla famosa canzone di Prince?

Mattia: In verità un vero sample di Prince è in un altro pezzo. Con il titolo del disco abbiamo voluto giocare sulle parole ma anche sul tempo che viviamo, che è davvero un tempo di segnali di cui spesso non ci accorgiamo. Invece la nostra vita è disseminata di avvertimenti che potrebbero farci vivere meglio. Questo concetto è anche ripreso in parte nell’immagine della copertina che abbiamo scomposto volutamente in varie sfaccettature di specchi. Come dire che la realtà spesso la si legge in maniera distorta.

Siete nati sul web, dove volete arrivare?

Simone: Indubbiamente la Rete rende tutto più accessibile ma non ci illudiamo perché bisogna usarla con cura. Non puoi caricare tutto, devi avere molta cura altrimenti sei rovinato. Se vai in Internet con qualcosa di sbagliato l’effetto è immediato. Ci piacerebbe vivere di questo lavoro e poter fare altri dischi. Al momento non abbiamo ancora lasciato la nostra occupazione originaria.

Il singolo estivo degli Hate Boss è Palm Beach, con un video molto stylish visibile al seguente link

Se vi incuriosiscono seguiteli in tour:
14.06.12 TV7 Padova, Intervista ore 09.30
15.06.12 CAFFE’ MARGHERITA, Padova PD
23.06.12 ART NIGHT, Venezia VE
29.06.12 HOMEPAGE FESTIVAL, Udine UD w/MOTEL CONNECTION
01.07.12 KERNEL FESTIVAL, Desio MB
06.07.12 MUSICAATTIVA, Radio Gamma 5 – Intervista
19.07.12 VICKY ROCK FESTIVAL, Vittorio Veneto TV
20.07.12 VENICE DOC FESTIVAL, Noventa di Piave VE W/TEATRO DEGLI ORRORI
22.07.12 SUMMERNITE FESTIVAL, Mogliano TV
28.07.12 PEDEPALOOZA FESTIVAL, Pederobba TV
02.08.12 NUVOLARI FESTIVAL, Cuneo CN
31.08.12 OPEN AIR FESTIVAL, Trontano VB
08.09.12 BIANCONIGLIO, Vittorio V.to TV

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Christian D'antonio

Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)