Mettiamoci l’anima in pace, Mika continuerà a fare tv, spot, design e quant’altro perché “queste sono le cose collaterali che mi permettono di fare la musica che voglio”. E la cosa che voleva fare di più è un album completamente personale, “dopo essermi chiuso a 15 anni in una bolla per non farmi vedere da dentro, dipende molto dal fatto che la mia famiglia è al 50% libanese”. Questo disco che presenta in questi giorni (esce il 15 giugno in Italia) si chiama “No Place in Heaven” ed è un viaggio nella sua persona, anche nel suo fenomeno se si vuole, perché ci ha messo tutto quello che voleva raccontare di se con Gregg Wells, il rpduittorer di Adele e Pharrell a fare il ruolo di arginatore. “Tutti hanno bisogno di qualcuno che ti dice basta – confida alla stampa accorsa in massa al lancio, poco prima del debutto live dell’anno al Fabrique di Milano – perché se fosse per me scrivere sempre tanto. Anche per la deluxe version ho messo brani inediti perché per me è un’espansione dell’artista, non ci sarebbe motivo di fare una versione allungata del nuovo disco con le cover”.
A sorpresa poi sono arrivate le collaborazioni (“Con Morgan ho pure scritto una prima versione del suo nuovo successo “Andiamo a Londra””, rivela) e i contratti degli sponsor. Il timore che la sua fama si potesse spostare su altri meccanismi comunicativi c’era, visto che in Francia poi si è dato a The Voice e sta contrattando per altri format in giro per il mondo. Ma la vendita di oltre 10 milioni di dischi e le vincite di Grammy, Ivor Novello e Brits gli hanno sicuramente dato fiducia. “Ho iniziato a scrivere in uno studio a Hollywood ma poi me ne sono andato in una casa fittata con i miei musicisti. Solo dopo abbiamo scoperto che era stata la casa di Orlando Bloom e tutti i bus turistici fuori la strada si fermavano coi microfoni dicendo: Say hello to Orlando! mentre noi dovevamo lavorare”. Voleva tranquillità creativa Mila, che per partorire canzoni come All She Wants (che parla del non detto alla madre) e Good Guys (omaggio ai controcorrente della cultura popolare) doveva guardarsi necessariamente dentro. “Il coming out sessuale non è tanto interessante come uscire dal guscio che ti sei creato per proteggerti. Spero che si senta il bisogno di comunicare senza veli nei nuovi pezzi”.
Per darvi un’idea di come suona l’album (17 tracce nella versione deluxe) basti sapere che ci sono le mani dei cugini Benassi, gli archi di Lucio Fabri, un paio di canzoni in francese, e un sentito omaggio a Freddie Mercury in Last Party. Ma soprattutto, come dice lui “trasparenza nei suoni, poco sovraprodotti rispetto ai dischi passati, e nei testi”. Tanto per far scatenare l’entusiasmo delle mamme in sala che hanno portato le figlie a conoscere il loro “modello”.”Ma mi spaventa questa cosa” dice lui col garbo di chi sa, che in fondo, comunicare è soprattutto incantare lo spettatore.
Poche, selezionate date per il tour italiano organizzato da Barley Arts: 23 luglio Taormina, 25 Cattolica, 27 settembre Forum di Assago, 29 Palalottomatica a Roma e 30 settembre Mandela Forum a Firenze.