Strano il destino di Emanuele Dabbono, cantautore e autore di tre dei pezzi di punta dell’ultimo, quattro volte platino disco di Tiziano Ferro. Ha iniziato a muovere i passi nel mondo della musica nei primi anni 2000, vincendo anche come emergente il Cornetto Free Music Festival esibendosi in una piazza Duomo di Milano gremitissima. Poi è andato in finale alla prima edizione di X Factor, all’epoca del triunvirato Morgan-Maionchi-Ventura. Ma è solo negli ultimi tempi che il grande pubblico ha imparato a conoscerlo, grazie al disco Il Mestiere Della Vita. Per ironia della sorte, cantato da un altro, e che altro: Tiziano Ferro, il cantante italiano più popolare del decennio che ha condiviso la scrittura con Emanuele del suo nuovo singolo “Il conforto” feat Carmen Consoli, “Valore Assoluto” e “Lento/Veloce”. I due avevano già collaborato su Incanto nel 2012 ma ora Emanuele Dabbono è sotto contratto con il cantautore di Latina per una partnership di scrittura anche con altri artisti e la sua carriera sta decollando.
E noi l’abbiamo incontrato per farcelo raccontare.
Si sente molto il tuo stampo su questi brani. Sei di Genova e subito la mente va al passato musicale di quella città. Ti confronti con quella radice?
Ho ascoltato la musica dei cantautori, quello che mi ispira di più non è il più celebre, Fabrizio De Andrè, ma Ivano Fossati. Ha una radice musicale molto spiccata, suona strumenti, padroneggia la parola e la musica, sempre incentrato sullo strumento è stato. La canzone cantautoriale di Bindi, Tenco, Lauzi è presente in me, nei miei ascolti ma anche la scuola romana recente, Fabi, Silvestri e Gazzè è molto più vicina a me.
Il pezzo con Carmen Consoli?
Tutta farina del sacco di Tiziano, io la canzone l’avevo pensata per lui. E lui mi disse che mi aveva fatto una sorpresa. Mi arriva questo duetto in email e dopo aver sentito le prime note ho capito che era con Carmen. Lei era molto trattenuta nel modo di cantare, si è messa a servizio del testo, non ha dei tecnicismi, questo è il plus di quel pezzo. Sono rimasto davvero stupito.
Hai un passato di interprete. Cosa ricordi?
Il mio esordio a X Factor è del 2008, non sapevo a cosa andavo incontro, partecipai perché avevo visto la pubblicità: si vince un contratto con Sony Music. Avevo 30 anni e volevo giocarmi la mia carta. Poi capii che erano tutte cover in ballo, ed è stato lì che incontrai Tiziano che aveva scritto con Roberto Casalino per Giusy Ferreri. Ho un ricordo forte, violento, specie perché il talent in tv necessita di molta competizione che spesso esula dalla musica. Io sono un cantautore schivo.
Quindi X Factor è servito da ponte per il tuo futuro, anche se non ti ha dato soddisfazioni immediate…
Sì perché Tiziano mi fece i complimenti e mi disse: Ti terrò d’occhio. Io pensavo fossero le solite parole e invece poi davvero dopo 5 anni ho avuto la chiamata alle armi e ho iniziato a lavorare con lui.
Sei ancora un cantautore oggi?
Certo, sono più realizzato perché all’epoca andare in tv era la mia ultima occasione. Avevo fatto aperture per Avril Lavigne, Black Eyed Peas, tanta tv ma non avevo raggiunto l’indipendenza, facevo l’educatore con i bambini per vivere. Ero un solista che arrivava sempre al punto di svolta ma non lo superava. Tour coi Nomadi, wow! E poi? Finito, tornavo alla mia vita, a casa. L’ho vissuto come un bipolarismo, fino a che sono riuscito a vivere di musica. A volte ho dovuto vendere chitarre per arrivare alla fine del mese. Il sogno va difeso, credo di poter dire.
Quindi riesci a vivere di musica oggi che sei autore più di quando eri cantante?
Continuo con la mia carriera solista di cantautore. Dal punto di vista autorale sono privilegiato, sto partecipando a una carriera straordinaria di un personaggio unico come Tiziano Ferro, il che mi permette tranquillità anche a livello artistico. Due cose importanti: non sono schiavo della moda e posso fare la musica che amo.
Ci sono altri artisti a cui vorresti apporre il tuo tocco?
Un piccolo sogno sarebbe scrivere per Elisa. Specie in passato ha fatto musica che ha significato molto per me. Sarebbe bello collaborare a quattro mani con Niccolò Fabi, una penna sensibile e molto vicina alle corde che mi piace toccare. Sarebbe bello dal punto di vista umano.
Hai scritto anche dei libri. Che differenza c’è tra scrivere testi e libri?
Sono due esperienze diverse. Genova di Spalle è un romanzo di formazione scritto come un tredicenne. Brevi pagine in cui parlavo dellla vita in provincia in capitoli molto corti. Io vengo da fuori città e Genova la guardavamo da lontano, da dietro, la vedevo voltata, a me sembrava New York e pensavo: un giorno quelle luci avranno anche il mio nome. E c’era il faro che ci dava la soddisfazione di voltarsi verso di noi. Quel libro lo intendo come elaborazione del lutto della morte di mio padre.
Poi c’è anche un libro di poesie.
Si chiama Musica per Lottatori, un bisogno di parola libera che non riesco a mettere dentro la canzone che è più rigida, perché devi tener conto della melodia. Me la sono goduta, senza un obiettivo di successo, è stata un’urgenza.
Usi la parola per mestiere. Fai attenzione al peso che hanno le parole?
Credo di sì, posso consigliare a tutti di smettere di scrivere con la penna. Sono stato legato a quella modalità, ho scritto oltre 1500 canzoni, e finché scrivevo a penna era peggio, perché ero stanco, mi arrendevo al primo tentativo.
Ora col cellulare scrivo in modo digitale, sposto, cancello, il foglio è sempre immacolato e fai prove e ti accorgi degli errori. Sono un artigiano, tengo anche seminari di scrittura in cui cerco di trasmettere questa passione.
Hai in mente degli artisti a cui ti rivolgi quando scrivi?
Il mio editore è una superstar ma ha come modello la bellezza e basta. Non mi dice: scrivi per Arisa, ma scrivi pensando che debba essere un pezzo forte da stadio, canzoni che debbano durare. Non so di cosa parlano i dischi per cui scrivo, ma devo aspirare alla longevità. Non devo ripetermi e questa è una fortuna, come lo è non guardare alle classifiche. Quello che ho fatto con Tiziano non è mai uguale finora. E quando scrivo faccio anche l’arrangiamento.
Quindi non solo paroliere?
Il mito è da sfatare: l’autore non porta solo chitarra e voce, credo che l’atmosfera aggiunga molto alla canzone. Cosa sarebbe Smoke On The Water o The Final Countdown senza i riff iniziali? Io suono tutto, chitarra, basso e batteria e riesco a individuare le parti più adatte sui vari strumenti.
Come funziona la tua partnership con Tiziano Ferro?
Non posso di mia iniziativa di contattare un altro artista, lui è editore di se stesso e anche mio. Quando scrivo qualcosa devo sottoporglielo e quando qualcuno gli chiede qualche pezzo deve capire quali tra quelli che abbiamo fa al caso specifico.
Hai viaggiato molto per lavoro. Cosa ti resta di queste esperienze?
Sono stato a New York la prima volta e non lo dimentico perché ho suonato in posti fantastici. La musica lì è vissuta senza steccati. Anche i club hanno una programmazione varia e nella stessa sera ci sono musicisti che propongono inediti, mai cover, di stili diversi e tutti restano ad ascoltare e decidono quello che è più valido. Anche i ragazzini sono costretti a scrivere se vogliono misurarsi.
Credi sia un’attitudine che manca a noi?
Beh, in Italia non sarebbe possibile una cosa del genere. Per riempire i locali c’è bisogno delle tribute band o delle cover conosciute.
Un sogno?
Magari esibirmi in apertura di un concerto negli stadi di Tiziano Ferro. Ma sono contento dell’unicità del nostro rapporto, è un’intesa rara ed è bellissimo così. Se mi avessero detto qualche anno fa che avrei scritto assieme a lui i tre singoli di un suo album, non ci avrei creduto.
E della tua produzione solista che dici?
La Velocità del Buio è il mio ultimo disco ed è uscito alla fine del 2015. Sto preparando un nuovo album, Totem , che registrerò entro quest’anno in acustico. Voglio sia un disco intimo, irlandese, vorrei avvicinarmi a delle cose di Damien Rice. Anche lontano dalle sonorità radiofoniche, mi interessa incuriosire l’ascoltatore e portalo alla mia causa.
Christian D’Antonio