Eugenio Bennato è forse trai cantautori più amati nel nostro paese, sicuramente uno dei più genuini e veraci, legati alla sua terra e al Sud che ha sempre raccontato e musicato nei suoi brani. A Lucera è venuto lo scorso week end in veste di scrittore, per la presentazione del suo ultimo libro “Ninco Nanco deve morire” (Rubbettino ed.) con la prefazione di Pino Aprile, in cui racconta le tappe del suo cammino di riscoperta della tradizione musicale. Prova a presentarsi in questa veste, che forse gli sta un po’ stretta, abituato com’è da musicista partenopeo al contatto diretto con il pubblico, al racconto preferisce decisamente la musica.
L’Excursus artistico di Bennato è “un concentrato di storia ed etnografia ma anche sociologia e psicologia prima ancora che di musica”, con un background che porta dentro di sé la storia e l’identità di una terra così complicata da vivere e come afferma lui stesso a proposito del libro e del brano “L’epopea brigantesca non aveva mai avuto il suo inno e forse aspettava che noi lo scrivessimo”. Dunque una canzone si fa portavoce di problematiche sociali che trovano difficilmente sfogo sui media e un cantante, così vicino al popolo e al pubblico, diventa il “messaggero” di realtà difficili da raccontare.
Durante il reading a Palazzo D’Auria II con Angelo Cavallo, Eugenio Bennato ha ripercorso le avventure narrate nel libro Ninco Nanco deve morire. Viaggio nella storia e nella musica del Sud, che racconta di Nicola Giuseppe Summa (detto Ninco Nanco), uno dei più valorosi briganti al fianco di Carmine Crocco. A Ninco Nanco, barbaramente ucciso nel 1864, l’autore ha dedicato l’omonimo brano nel cd Questione Meridionale. “Abbiamo percorso la Puglia in tempi pionieristici per quel tipo di musica” ha affermato il cantautore napoletano, che è stato tra i fondatori della Nuova Compagnia di Canto Popolare, il primo gruppo di ricerca etnica della musica popolare dell’Italia meridionale. Attraverso la musica si è data notorietà a personaggi sconosciuti nella nostra nazione, “così come erano sconosciuti Antonio Maccarone, Antonio Piccininno e il cantore dei poveri Matteo Salvatore”, ha raccontato al pubblico, aggiungendo: “In qualche modo il nostro racconto fa diventare questi personaggi dei punti di riferimento nella nostra storia, nella nostra cultura”. Grande partecipazione dei presenti, incuriositi dagli aneddoti, ma affamati comunque di musica, la vera passione pulsante del cantante.
Approfittiamo per fare con lui una chiacchierata all’aperto, fuori da Palazzo D’auria. Bennato si rilassa con una sigaretta e ci concede qualche domanda. Nel viaggio da Foggia a Lucera, con una collega giornalista, Francesca Di Gioia, avevamo pensato di fare qualche domanda politica, viste le ultime vicende napoletane. Credevo che dopo il racconto musicato, il sound e il ritmo avessero preso il sopravvento per lasciare spazio a pensieri più squisitamente musicali, invece la collega mi prende di sprovvista e azzarda ad intavolare discorsi su musica e politica, taranta e strategie di promozione del territorio, chiedendo se quasi quasi l’accostamento della musica da talent a Melpignano non “sradicasse il valore storico e soprattutto antropologico-culturale della musica popolare e dunque della taranta” e ponendo il dubbio se questo modo di pensare non potesse essere associato un po’ troppo alla sinistra:
“Per fortuna questo non è vero – risponde prontamente Bennato – perché negli anni settanta, la musica, era associata e monopolizzata dalla sinistra e questo ha portato al un blocco della situazione, mi ricordo che una volta ai concerti ci faceva il processo politico, perché si parlava di tuttaltro invece che di musica e di arte”.
Commenti che nonostante l’ora tarda sollecitavano la nostra attenzione, sembrava quasi di intuire, dalla sue parole, che negli anni settanta ci fosse stata una sorta di ‘strumentalizzazione’ politica della musica. Argomenti che richiederebbero indagini di sorta e che purtroppo non avevamo il tempo di approfondire, lui se ne rende conto e taglia corto “Per quanto riguarda la connotazione politica, per fortuna è un problema culturale e non politico – fa subito un collegamento con la musica popolare e la taranta – quando dieci anni fa ho fondato il Taranta Power, parlavo di un oggetto sconosciuto, ho proposto qualcosa di innovativo che ha fatto storia, sono contento che la taranta diventi una moda, perché questo ci salva. Un a volta a Parigi non sono arrivati i tamburelli, dovevamo fare un concerto, mi hanno chiamato da Napoli e mi hanno suggerito di chiamare la scuola di taranta di Parigi e ce li hanno portati. Questo è meraviglioso, pensa che a Buenos Aires sono sorte scuole di tarantella dopo la nostra tournee” Sottolinea il ruolo culturale, che la sua figura con forti tradizioni popolari propone alle nuove generazioni, e continua spedito e sicuro della sua posizione: “Questa estate sono stato al Festival di Melpignano, è un evento straordinario che ha inventato il Sud, ma dal punto di vista artistico risulta carente. Forse con la mia musica ho fatto in tempo a salvare la tradizione”
Colgo l’occasione, per riagganciarmi al nuovo modo di vivere la musica attraverso internet e procedo con la mia intervista.
Che rapporto hai con YouTube e internet, tu che sei abituato alla musica di strada, quella in mezzo alla gente?
“Penso che sia un mezzo molto democratico poter veicolare certe cose. C’è un riscontro incredibile, appena faccio un brano lo metto su YouTube e arriva ai centomila accessi. Ci sono certo delle controindicazioni, c’è la scostumatezza che viene fuori nei post, ma tutto sommato ci sta che accadano anche queste cose con un pubblico così vasto. La possibilità di arrivare a chiunque molto velocemente, questa è la cosa interessante”
Nell’epoca dei social networks, trovi che sia più diretto il rapporto che c’è tra un cantante e il suo pubblico?
“Assolutamente, ormai è modo più diretto per arrivare al pubblico. Pensa che un mio fan ha messo un video di ‘Ninco nanco’ su facebook, manco sapevo che lo avesse fatto e il brano ha raggiunto tantissime persone immediatamente. E questo è bellissimo”
Non trovi che in questo modo siano cambiati i mezzi per fare e diffondere la musica, le case discografiche non pensi che si siano un po’ impigrite e lascino fare tutto in maniera autonoma al popolo del web?
“Adesso è più facile fare un disco, certo. Non credo che le case discografiche abbiano perso l’entusiasmo, credo proprio che stanno ormai perdendo il motivo di esistere”
Quindi è più facile ora, magari ci si potrebbe auto produrre, anche in un contesto come quello del Sud dove non girano molti soldi. Un band potrebbe provvedere da sola alla creazione della propria musica.
“Il sud sta avvenendo una trasformazione, il 90% delle musiche calabresi sono di musica popolare, forse queste tradizioni popolari saranno la nostra salvezza”.
LUANA SALVATORE